La riforma dei decreti di “falsa sicurezza” rappresenta solo un primo, timido passo di una necessaria e netta inversione di tendenza delle politiche anti-migratorie prevalse in Italia e in Europa nell’ultimo decennio.
In realtà, nel nostro, come negli altri stati membri dell’Unione europea, diventa sempre più pressante l’esigenza di una politica che favorisca l’immigrazione e la sua piena integrazione nei nostri contesti sociali. E ciò per varie ragioni.
La prima riguarda la correzione di uno squilibrio demografico divenuto insostenibile. Esso danneggia soprattutto l’Italia e i paesi europei caratterizzati da un crescente invecchiamento della popolazione. La conseguenza è che entro 10 anni nei 27 paesi dell’Ue più la Gran Bretagna una persona troppo anziana o giovane per lavorare dipenderà da 1,5 persone in età lavorativa (in Itala addirittura da 1,1). Un numero di lavoratori troppo ridotto per reggere il carico di tutti gli altri. La sproporzione, già negli ultimi anni, ha inciso negativamente nei servizi più importanti dell’organizzazione sociale: sanità, pensioni, istruzione. E questa situazione, che già prima del Covid, si prospettava insostenibile, si può correggere solo promuovendo flussi migratori molto più consistenti di quelli attuali.
La seconda è che i paesi meta dei migranti hanno bisogno della loro offerta di lavoro in misura crescente. Infatti in diversi settori produttivi la manodopera occorrente non è più fornita in misura sufficiente dai lavoratori autoctoni. Questo riguarda certamente molti lavori poco qualificati nell’agricoltura, nell’industria ed anche nel terziario. Tuttavia il fenomeno concerne pure impieghi più specializzati. Ad esempio nel 2019 in Italia gl’immigrati addetti alle professioni qualificate nei servizi personali sono stati il 16,1% degli occupati contro l’1% di italiani. Nell’edilizia gli artigiani ed operai specializzati sono stati per il 10,3% immigrati in confronto all’1,4 di italiani, e così via. In generale, l’analisi del mercato del lavoro nel nostro, come negli altri maggiori paesi europei, dimostra che, da un lato, gli immigrati non sottraggono lavoro ai nativi; dall’altro, la loro attività è fondamentale per lo sviluppo dei paesi ospiti. E se ve ne fosse ancora bisogno, un’ulteriore dimostrazione di questo fatto viene dalla pandemia e dalla necessità di potenziare le forze per farvi fronte.
In terzo luogo, gli immigrati regolarmente censiti rappresentano una risorsa per i bilanci statali, Infatti l’ammontare delle tasse e contributi che essi versano sopravanza nettamente le spese che comportano. Un vantaggio fiscale che, se basato sui costi marginali, ossia quelli dovuti all’utenza effettiva dei sevizi di cui si valgono gli immigrati, in Italia è di circa 4 miliardi l’anno.
Questi fatti ed altri che si potrebbero aggiungere dimostrano non solo l’infondatezza, ma l’autolesionismo di politiche di chiusura e respingimento dei migranti praticate per anni dal nostro e dagli altri paesi dell’Ue, con il pieno sostegno delle sue istituzioni centrali.
Sostegno che si è rafforzato nel 2016 con la costituzione del Centro europeo contro il “traffico dei migranti” (Emsc). Nello stesso anno l’Ue stipulava l’accordo con il governo turco per sbarrare l’accesso alla rotta balcanica e contemporaneamente adeguava l’operazione Eucap fornendo al Niger aiuti per contrastare le rotte migratorie provenienti dall’Africa centrale e occidentale. Quanto al controllo del Mediterraneo centrale, già dal 2014 era attiva la missione Triton , sostituita nel 2018 dall’ancor più agguerrita Themis. Mentre nel Mediterraneo orientale è da tempo attiva l’operazione Poseidon e in quello occidentale la Indalo. Il 2018 ha segnato un ulteriore rilancio dell’offensiva dell’Unione europea contro i flussi migratori attraverso l’operazione Empact facendo ricorso a “strumenti esterni”. Ricorso che in pratica significa la stipula di una serie di accordi con i paesi d’origine dei migranti, per fermarli alla partenza, accompagnati da altri accordi con i paesi di transito per bloccarne il passaggio. E’ in questo quadro che si collocano gli spregiudicati accordi del governo italiano con la Libia e altri paesi africani, nonché i provvedimenti previsti dai decreti legge Minniti-Orlando del 2017 e Salvini del 2018.
Le barriere opposte ai flussi migratori dall’Unione europea e dai paesi che ne fanno parte non solo contraddicono i più elementari principi giuridici, politici e morali, fino alla negazione degli stessi obiettivi per cui l’Unione è stata costituita. Insulto non meno grave è l’inganno in cui vengono tratte le popolazioni quando si presenta l’immigrazione come minaccia del loro benessere, anziché come un bene necessario a correggere, almeno in parte, gli squilibri che patiscono. E che questo inganno continui anche in presenza di una pandemia devastante che rende ancora più necessarie apertura, collaborazione e solidarietà è assolutamente intollerabile.
(Testo ampliato dell’articolo pubblicato su “il manifesto, 30 dicembre 2020)