L’automazione spinta della produzione di beni e servizi dovuta agli incalzanti progressi delle tecnologie informatiche e dei loro effetti sociali tocca sempre nuovi livelli. Parallelamente cresce il dibattito circa le conseguenze che tale processo ha e avrà su una drastica riduzione del lavoro umano. I robot di seconda generazione e le prospettive indicate dagli studi sull’intelligenza artificiale fanno intravedere uno scenario sociale profondamente trasformato e dagli esiti imprevedibili. E’ questo il tema trattato da Riccardo Staglianò nel libro Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro, appena pubblicato da Einaudi. L’opera presenta molti punti d’interesse. Intanto è aggiornatissima e ricca di dati. Sicché il lettore può avere piena nozione dello stato delle cose e dei possibili sviluppi nel prossimo futuro. Questa qualità dipende dal fatto che molta parte della ricerca è stata fatta sul campo. L’autore si è recato nei vari istituti di studio e progettazione delle nuove tecnologie, nelle sedi delle multinazionali che già si servono largamente delle loro applicazioni nella produzione ed organizzazione del lavoro e che ne stanno sperimentando di nuove. Inoltre egli documenta l’impatto di tali innovazioni sia sul fronte del lavoro che dei consumi.
La ricognizione abbraccia i vari settori produttivi e tipologie d’impiego maggiormente investiti dalla super automazione e dalla nuove tecnologie. Sono analizzati i mutamenti nella grande distribuzione, a cominciare dall’impero di Amazon, che continua ad espandersi giacché si vale di 1/3 dei dipendenti impiegati dal commercio tradizionale nonché dalla possibilità di un continuo monitoraggio e adattamento a gusti e scelte dei consumatori. Per quanto riguarda i trasporti, si va dalle grandi portacontainer alle auto a guida automatica fino ai droni. Si spiega l’evoluzione rappresentata da Amelia rispetto ai tradizionali call center. Si entra nella “fabbrica a operai zero”, la cui progressione è impressionante, stando a dati come quelli del distretto più industrializzato della Cina, dove si prevede che entro il 2020 saranno completamente automatizzate 8 fabbriche su 10. Ma si esaminano anche le varie forme di crowd working e gli altri aspetti della precarietà. Si studiano gli effetti dell’informatizzazione sulle professioni, dalla sanità all’istruzione, fino alla produzione musicale.
L’altro merito del libro consiste in una ricostruzione del processo in chiave tutt’altro che deterministica e nient’affatto scontata nei suoi approdi. Tre fattori concorrono a questo risultato.
Il primo consiste nell’inquadramento storico del problema che permette di evidenziare, accanto agli elementi di novità, anche quelli di continuità che hanno caratterizzato obiettivi e strategie del capitalismo nell’età industriale. Il secondo riguarda l’attenta ricostruzione del dibattito che si è svolto sul rapporto tra automazione microelettronica e lavoro a partire dagli anni ’80. In terzo luogo, il fenomeno della super-automazione del lavoro e della sua possibile e drastica riduzione non è isolato da altri fattori che da decenni s’intrecciano e interagiscono con esso. In proposito l’autore dà conto del massiccio fenomeno di delocalizzazione che da trent’anni vede le multinazionali trasferire quantità crescenti dell’attività produttiva nei paesi in via di sviluppo per lo sfruttamento di manodopera a basso costo. Fenomeno che però non ha portato a miglioramenti apprezzabili delle condizioni di vita di quelle popolazioni. Tant’è che, contemporaneamente, si sono ingrossate le schiere di emigrati da quegli stessi paesi in cerca di lavoro in quelli più ricchi.
L’autore non manca di evidenziare come tutti e tre i fenomeni, automazione, delocalizzazione ed emigrazione si siano intrecciati diventando strumenti potentissimi nelle mani di gruppi imprenditoriali più e meno grandi nel determinare una forte competizione al ribasso delle condizioni dei lavoratori anche nei paesi di più antico sviluppo.
Il risultato dell’analisi è che stiamo assistendo ad uno svuotamento delle attività lavorative che investe soprattutto la larga fascia intermedia della popolazione. Questo andamento, insieme al fatto che le occupazioni più qualificate si concentrano negli strati alti della gerarchia sociale, mentre le fasce più basse della popolazione lavoratrice conoscono un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni sta determinando una dilatazione a forbice delle diseguaglianze sociali.
La conclusione è problematica, ma tutt’altro che rassegnata. Nel capitolo finale, Riccardo Staglianò riprende le fila del dibattito più recente sul fenomeno per individuare anche possibili vie d’uscita. Esse s’intravvedono in varie proposte. V’è chi pensa a forti investimenti nell’istruzione. Si sostiene, comunque, la necessità di una tassazione decisamente progressiva. Così come è incalzante l’esigenza di tassare adeguatamente chi, come le grandi multinazionali, più facilmente sfugge agli obblighi fiscali. E lo stesso vale per i “signori della Rete”. Si esaminano anche le proposte riguardanti l’istituzione di redditi di base là dove, come in Italia, non sono ancora previsti. Si riprendono le ipotesi, pure più volte affacciate, di una partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese.
L’obiettivo essenziale è comunque quello di arrestare una sempre più rovinosa diseguaglianza che potrebbe risultare distruttiva delle basi stesse del patto sociale.

Recensione al libro di Riccardo Staglianò, Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro, Einaudi, Torino 2016