
I vantaggi che gli immigrati dal Sud del mondo portano nei paesi meta dell’Europa occidentale e negli Usa sono stati già documentati dall’autore in studi precedenti, dimostrando il carattere strumentale e deviante delle politiche di respingimento praticate da quegli stati. L’utilità e spesso la necessità dell’apporto degli immigrati nei paesi ospiti – in termini di riequilibrio demografico, di concorso alla crescita economica, di sostegno, anziché peso, per i sistemi di welfare, nonché di vantaggio per la fiscalità generale – viene ripresa ed ampliata alla considerazione di altri aspetti.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, non solo non v’è competizione con i lavoratori di più antica residenza, ma gli immigrati coprono settori scoperti, arricchiscono l’offerta e favoriscono la domanda. Di più: proprio perché il lavoro è lo strumento cardine della loro integrazione, gli immigrati sono levatrici di etica e cultura del lavoro. La rivendicazione di diritti e la partecipazione, appena possibile, all’attività sindacale sono strumenti essenziali dell’integrazione sociale. Il saggio si diffonde su questi ed altri aspetti, valendosi anche di confronti storici, per dimostrare come l’immigrazione rappresenti un lievito indispensabile per la trasformazione e l’evoluzione di società aperte. Infine, com’è accaduto in fasi storiche precedenti, anche i flussi migratori del XXI secolo possono concorrere ad un accorciamento di distanze tra macroregioni del mondo. E quanto questo sia importante è dimostrato dall’esigenza improcrastinabile di far fronte comune ai gravi squilibri ecologici, demografici e sociali del mondo contemporaneo, cui si aggiungono oggi i drammatici effetti della pandemia.