La riflessione sul rapporto tra cinema e lavoro costituisce il baricentro di un discorso aperto su più versanti. Esso riguarda il farsi stesso del cinema, alle origini e nelle fasi successive della sua evoluzione. Inoltre tale rapporto riveste un carattere precipuo nella settima arte in quanto costitutivamente connesso alla sua produzione industriale.
Il libro di Vittorio Boarini, Cinema lavoro memoria, Editrice Socialmente, Bologna 2015, affronta il tema del lavoro nel cinema non come un argomento circoscritto, per quanto di indubbio interesse. Nella trattazione l’autore, da grande esperto quale è, approfondisce i caratteri propri del linguaggio cinematografico rispetto a quelli di altre espressioni artistiche.
Per altro verso, egli stabilisce un confronto, sostanziato di significativi rimandi, tra la storia del cinema e quella dell’età industriale, nei paesi capitalisti come nell’Unione sovietica. Fasi, opere e autori della produzione cinematografica sono inquadrati nelle trasformazioni più generali della società e della cultura contemporanee. Fa da contrappunto l’analisi di alcuni film che trattano direttamente di quei mutamenti.
Tutto ciò produce una serie di rinvii e rispecchiamenti che, alla fine mostrano bene la natura e funzione prismatica del cinema, come delle altre espressioni artistiche.
Certo, un’analisi tanto complessa e sofisticata richiede un’estrema padronanza della materia, nonché una capacità di spaziatura culturale ad ampio spettro. Ancor più apprezzabile diventa, allora, l’agilità e chiarezza del libro di Vittorio Boarini. La lettura è affatto scorrevole e godibile, pur essendo il breve testo denso di notizie, riferimenti, riflessioni.
Il segreto credo consista nel fatto che non si perde mai divista il baricentro o filo conduttore del discorso, che è costituto appunto dal lavoro. Il lavoro necessario alla produzione di un film e il lavoro tema di grandi film che hanno scandito la storia stessa del cinema in contesti spazio-temporali anche molto distanti e diversi.
Funzionale ai vari piani del discorso è l’articolazione dei capitoli. I primi tre riguardano la tecnica e l’industria fin dalle origini, la conservazione, i festival e istituti di cultura. Il quarto riguarda l’emigrazione, non solo come argomento trattato in importanti film, ma perché il cinema stesso “è un emigrante” (p. 51). Il quinto tratta del lavoro come argomento e rappresentazione diretta nell’opera cinematografica. Si va dai registi della Russia postrivoluzionaria, là dove si congiungono “la conclusione del processo formativo dell’arte cinematografica e il riconoscimento sociale della centralità del lavoro” (p. 60) all’America del New Deal. Da Metropolis di Fritz Lang al Chaplin di Tempi moderni, fino alla produzione di Kenneth Loach, passando per il Neorealismo italiano e quant’altro.
Complementare ed utilissima a quest’analisi precipua è l’appendice costituita da schede dedicate a film particolarmente significativi riguardanti lo sciopero, le morti sul lavoro o le denunce della precarietà ed estrema mercificazione del lavoro nella cinematografia più recente.
La conclusione dell’appassionata ricerca di Vittorio Boarini è che”l’elemento fondamentale del Moderno è il lavoro, inteso come creatività umana, attività pratico-sensibile, produzione di ricchezza e trasformazione del mondo” (p. 100).
Recensione del libro di Vittorio Boarini, Cinema lavoro memoria, Editrice Socialmente, Bologna 2015.